Il sushi: dalla nascita al successo internazionale

le origini del sushi

Le radici del sushi risalgono alla Cina del IV secolo. Nasce come metodo di conservazione del pesce che, una volta eviscerato e salato, veniva messo a conservare ricoperto da riso cotto (mischiato a zenzero e wasabi) che col tempo acidificava, rendendo difficile la proliferazione batterica, mantenendolo così commestibile per diversi mesi.

Al momento del bisogno, veniva mangiato soltanto il pesce, mentre il riso, che era servito solo per la conservazione del pasto, veniva gettato.

Al tempo, l'utilizzo di wasabi e zenzero, aveva la funzione fondamentale di coprire l'odore forte e sgradevole del pesce conservato, contrariamente a quanto accade nella cucina moderna, in cui il  wasabi, nonostante la sua spigolosità, è protagonista di innumerevoli preparazioni, dagli antipasti al dolce.

Intorno al XIII secolo, la popolazione giapponese, ormai abituata a questi sapori, iniziò ad eliminare la fermentazione spontanea del riso, aggiungendo l’aceto al riso cotto; nei chioschi di strada della Tokio del periodo Edo, si iniziò a servire in abbinamento al pesce crudo anche il riso acidulato.

Ebbe così origine la storia dell’attuale sushi. Questo periodo fu caratterizzato da una forte chiusura sia culturale che commerciale del Giappone nei confronti del mondo esterno, nonostante ciò, le tradizioni più radicate e caratteristiche dell’attuale Giappone nacquero proprio in quel periodo.

Attualmente il sushi è espresso principalmente sotto forma di maki (roll), ma sono altrettanto diffusi e conosciuti sia i nigiri che i gunkan, che hanno minor sviluppo commerciale per motivi legati ai lunghi tempi di lavorazione e maggiore professionalità richiesta nella realizzazione.

top view of a variety of sushi nigiri sashimi yakisoba and edamame on a restaurant wooden table

I maki sono roll composti principalmente da riso, pesce e/o verdura, il tutto tenuto insieme dall’alga nori. Sono spesso decorati con uova di pesce, sesamo colorato e salse di vario genere.

L’ideazione di un roll è da considerarsi alla stregua della realizzazione di un piatto; vanno studiati gli aspetti cromatici, di gusto e consistenza affinché ogni boccone possa essere un’esperienza unica.

Realizzare un maki, è meno semplice di quanto possa sembrare, un bravo sushiman deve avere la sensibilità di conoscere l’esatta quantità di riso da distribuire sull’alga, e non deve schiacciare il maki, che deve essere uniformemente distribuito. Anche la fase di chiusura è molto importante e non può essere realizzata con eccessivo vigore.

Alcuni puristi preferiscono gustare il maki chiuso manualmente, senza maki-su (tappetino usato per chiudere i roll); il risultato finale sarà un maki irregolare nella forma ma che avrà mantenuto inalterate tutte le sue consistenze.

Il maki tradizionale per eccellenza si presenta con l’alga a vista. Ne esistono due tipologie principali:

Il futomaki, farcito con diversi ingredienti, il suo diametro si aggira intorno ai 5 cm.

L’hosomaki, farcito generalmente con un solo ingrediente, il suo diametro è circa la metà di quello di un futomaki.

C’è poi la grandissima famiglia di maki nati dopo la seconda guerra mondiale, a seguito dell’esodo in occidente della popolazione, gli uramaki; nascono principalmente da esigenze estetiche e di gusto, infatti sono la rivisitazione della tradizione giapponese in chiave americana (occidentale).

Il primo uramaki ufficiale è il coloratissimo california roll; la sua prima ricetta documentata è una vera e propria sperimentazione culinaria dello chef Ichiro Mashita che realizzò un roll con riso esterno (uramaki), sostituì il tonno crudo (al tempo poco apprezzato) con il più conosciuto ed apprezzato granchio ed usò l’avvolgente avocado al posto del cetriolo, per attenuare ulteriormente le naturali spigolosità di sapore.

Le chiavi del successo di questo piatto in occidente sono molteplici e le statistiche ci dicono che ad essere maggiormente apprezzati nel sushi sono il gusto (59%) e l’aspetto (41%).

Le statistiche dicono anche che il sushi è diventato il cibo più desiderato per il 76% degli italiani; motivo per cui non c’è da stupirsi se anche la ristorazione tradizionale sta subendo pesanti influenze da questa affasciante cultura.

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